Monologhi di donne, con Emanuela Panatta e Alessandra Fallucchi
Tratto dal libro di Emanuela Panatta (Ed. Il Torchio, 2016), il testo è stato adattato da Emanuela Panatta e Alessandra Fallucchi, che oltre a recitarlo, ne curano anche la regia.
Tutto avviene al CIVICO 33, un palazzo nel quale si incrociano le vicende di diversi personaggi femminili accattivanti e variopinti. L’arrabbiata, l’idealista, la crocerossina, l’alternativa, la precaria, l’innamorata, la golosa e l’arrivista fanno di CIVICO 33 un crocevia dell’universo femminile in cui le donne si raccontano in chiave tragicomica. Donne che parlano di donne. Ma non solo: le studiano, le analizzano. E le mostrano al pubblico in tutte le loro sfaccettature. Ma soprattutto donne che parlano “alle” donne.
Lo spettacolo
La storia si svolge, appunto, al Civico 33, che è l’indirizzo di un palazzo che si fa crocevia di storie di donne che si raccontano, si sfogano, urlano, cercano conforto e consiglio. Mostrano tutte le loro molteplici sfaccettature d’animo.
Sono Emanuela e Alessandra a interpretare tutte queste donne, cambiando ogni volta personaggio, saltando da un’emotività all’altra e portando alla luce ogni volta bisogni diversi, storie e frustrazioni differenti. Come fanno? Cambiandosi d’abito e indossando le scarpe giuste. D’altronde si sa che l’umore di una donna lo si riconosce dalle scarpe che indossa, no?
La scena è semivuota: ci sono soltanto due sedie al centro e altrettanti appendiabiti alle estremità del palco da cui le donne attingono per cambiarsi. Per il resto, il palco si riempie soltanto delle loro voci e delle loro storie.
Ogni donna che viene portata in scena si trova in un particolare momento di fragilità, instabilità e smarrimento dovuto a molteplici motivi: il lavoro precario, il tradimento, un matrimonio infelice, la dieta… Sì, la dieta. La dieta è sempre motivo di smarrimento e nervosismo. Confermo e sottoscrivo!
Ogni scena è sempre calcata da entrambe le attrici che si spalleggiano, si confrontano, si aiutano. E ogni tanto si demoliscono a vicenda. A volte in chiave ironica, altre volte in chiave seria e drammaticamente attuale.
Queste donne, in base al rispettivo disagio di quel momento, vedono nella figura dell’uomo il simbolo della stabilità e sicurezza, una possibile soluzione a ogni problema. Oppure, drasticamente, la causa scatenante di tutto.
Ma quando la figura maschile può sembrare una soluzione, la donna poi prende coscienza del fatto che sì, questo porrebbe fine alla sue sue difficoltà. Però a che prezzo?
Quello a scapito dell’affermazione della propria libertà, della propria autonomia di donna affermata e sicura. Insomma una macchia sull’orgoglio che non la levi manco con la candeggina.
E poi, quando invece è chiaro che è lui, l’uomo, l’origine di ogni guaio, la donna tentenna ad accettarlo.
Forse è colpa del suo comportamento troppo pesante. O forse è colpa dell’allineamento dei pianeti o forse qualcosa di mistico per cui si rende necessaria una seduta da una cartomante.
Il messaggio di “Civico 33” lo trovo molto bello e molto forte: noi donne dobbiamo imparare ad avere coscienza di noi stesse. Ed è soltanto dopo che abbiamo trovato il nostro posto nel mondo, la nostra serenità, una autonoma stabilità, è solo allora che siamo pronte ad accogliere qualcuno con cui condividere questo cammino senza scendere a compromessi.
E per questo spunto di interessante riflessione ringrazio molto Emanuela e Alessandra.